Un percorso di bellezza tra Fiemme e Fassa.

Moena e l’Hotel Laurino.

Una dinastia di albergatori nelle Dolomiti

Che in molti tratti si è sviluppata per via femminile, con il conseguente mutare dei cognomi: Facchini, Zenti, Galbusera. A pennellare la storia, come dice di lei il figlio Lorenzo: una dolce signora, Carla Zenti Galbusera, classe 1923. Sul tavolo decine di fotografie, quadernetti, manoscritti.

   “La mia famiglia entra nel mondo dell’ospitalità con una piccola osteria, l’Osteria Centrale. C’era anche un negozietto che vendeva un poco di tutto, lo chiamavano “bazar”. La crearono il nonno Domenico Facchini e la moglie Margherita nel 1909. Mia madre e le sue sorelle, che vi la lavoravano, erano chiamate le “bazare”. Per mettere in piedi il tutto era stato utilissimo un gruzzoletto guadagnato da Caterina (Catina), sorella di mia madre, e da suo marito Domenico Pettena. Avevano lavorato ad Innsbruck, lei sarta e lui come muratore. Il negozio ebbe un momento di fortuna durante la prima guerra mondiale quando Domenico, “Menegotto”, da muratore divenne barbiere e trovò clientela copiosa tra i soldati di stanza a Moena (il fronte era vicino, a S. Pellegrino). La famiglia perse quel capitale, in quanto investito in titoli del governo austriaco che alla fine della guerra avevano perso il loro valore, ma aveva cambiato stato sociale: da contadini a piccoli imprenditori.”

Chi era l’anima forte?

“Catina. Non aveva studiato ma… guardi… le mostro…”

Questa cartolina che lei scrisse nel 1906 al fidanzato, era redatta in lettere greche (perché i parenti non la potessero leggere). Prese in mano la famiglia a 16 anni, causa una malattia della nonna. Dopo la guerra fu lei l’animatrice dell’Albergo Centrale. La struttura disponeva dei primi gabinetti realizzati a Moena, col water closet, e fu aperta nel 1925. L’albergo attirò subito una clientela di gran qualità. Gran parte dei clienti venivano da Trieste. Un fratello di mamma e di Catina aveva aperto un negozio di mobili in quella città, di gran successo. In un secondo tempo zio Antonio Facchini aprì, con mio padre, Gaetano Zenti, una fabbrica di mobili anche qui a Moena, nel 1923. Mio padre aveva comprato il primo camion della val di Fassa e trasportava i mobili da Moena a Trieste. Al ritorno, il camion portava in valle i bagagli degli ospiti dell’albergo di famiglia. Difficile fermare Carla, che nel racconto mette tutta sé stessa (e l’amore, fortissimo, per “le radici”).

“Erano turisti di una certa levatura sociale. Il Centrale lavorò molto per merito di Domenico, figlio della Catina, che aveva frequentato l’università a Trieste. Là si era iscritto alla Fuci (Federazione Universitari Cattolici Italiani) ed il Centrale divenne un poco la centrale dei “fucini” italiani.”

“Fu la Catina quindi il vero iniziatore della vostra dinastia di albergatori.”

“Una donna di grande attivismo. Un’altra sorella di mia madre, Maddalena, detta Nenòla, verso il 1928 aveva comperato una piccola osteria, l’Osteria del Tamburòn, e l’aveva trasformata nell’Albergo Posta. Era diversa da Catina e da mia madre Giustina che avevano cercato sempre di qualificarsi socialmente. Ad esempio non avevano mai permesso a noi, i figli, di andare in giro calzando gli zoccoli. Nenòla rimase più alla buona e l’albergo fu sempre estremamente modesto. La zia era simpaticissima e prendeva in giro mia madre: “L’è na siora, la mete el ciapèl”.”

 “E la Giustina, sua madre?”

“Una gran bella donna, molto elegante. La chiamavano la Schònheit di Moena. Si sposò con mio padre, Gaetano Zenti, che fu il primo brigadiere dei carabinieri inviato dall’Italia in valle, dopo la guerra, in sostituzione delle forze dell’ordine austriache. Era veronese. Una persona eccezionale, soprattutto per la sua cultura, da autodidatta, e la sua spiritualità. Direi un uomo santo. Lasciò l’arma e per un certo periodo lavorò a Trieste con lo zio. Nel 1923 tornò a Moena dove mise in piedi il mobilificio. Nel 1932, con mia madre, inaugurarono l’Hotel Moena. Il capitale in gran parte era stato messo insieme attraverso prestiti. Sa, mio padre aveva 13 fratelli, unitissimi tra loro. La vedova di un fratello gli prestò 70.000 lire, altre somme le ebbe da altri fratelli.”

Un torrente tumultuoso la signora Carla. Che butta acqua in continuazione. Con in bocca un sorriso. “Che tipo di turismo si rivolgeva a Moena, tra le due guerre?”

Quasi esclusivamente italiani. Noi avevamo una clientela estremamente qualificata. All’Hotel Moena si doveva andare a tavola col vestito da mezza sera. Era un albergo con acqua corrente calda e fredda, in tutte le 46 stanze. Il primo caso in zona. Il merito del successo dell’albergo fu anche dell’onorevole Cingolani (fondatore con Degasperi e Sturzo del Partito Popolare e molto legato al Vaticano). Lui conosceva tutta la grande nobiltà romana. Invitò a Moena persone della sua cerchia. Cingolani stava al Cervo ma mandava al Moena i suoi amici, perché avevamo l’acqua calda. Vennero i Cattaneo, la marchesa Spinola, il marchese Serafini, governatore del Vaticano, il cardinal Tedeschini….. In genere venivano con l’autista privato, poi mi ricordo le balie ciociare, con un gran petto. Di dame di compagnia illustri ricordo quella della principessa Orietta Doria Panfili, di Roma, poi quella della Murri (nipote del famosissimo medico e docente, il cui padre fu assassinato dalla moglie e dall’amante di questa. Un caso famosissimo al tempo). Avevamo anche una clientela ebraico-italiana.”

“Come si erano preparati papà e mamma per trattare con gente di un ambiente sociale così elevato?”

“Si erano fatti amici di direttori di grandi alberghi: ricordo Lattesschlager del Grand Hotel Carezza, gli staffler del Grifone e del Laurino di Bolzano, i Toffol di S.Martino. La mamma studiava. Aveva un libro di tecnica alberghiera, “Il topo d’albergo e Signorilità”, un libro di galateo di Elena Della Rocca Mozzati, dama di corte della regina Margherita di Savoia. Su questi parametri mia madre ha cercato di educarci. Poi, i due, chiedevano consigli ed aiuti per amministrare l’albergo agli stessi clienti: la contessa Pivato, i Beck, i Canedi. Papà morì nel 1941 e, tra i 5 figli, chi dovette tirare la carretta in albergo fui io.”

“La madre era una brava cuoca?”

“Sì. Per anni fu aiutata dal cuoco Antonio Banalotti, che fu in seguito il cuoco del Duce. Alla fine della guerra mamma lo riprese, ma fu costretta a mollarlo subito: si era abituato allo spendi e spandi del regime fascista. Dopo il ’43 in albergo alloggiammo alcune famiglie di sfollati. E tra queste la famiglia Galbusera, col mio futuro marito Alessandro. Poi la struttura fu occupata dalle truppe tedesche (pensi, era il Comando generale della marina tedesca in Italia), quindi dagli americani che fecero dell’Hotel Moena un deposito di armi.”

“Il turista di quel dopoguerra?”

Mamma non voleva entrare in sala da pranzo! Nel 1946 era una clientela di arricchiti di guerra, rozzi e maleducati. Con la divisione dei beni di famiglia, io ebbi la dependance del Moena che, con mio marito, trasformammo nell’Hotel Laurino, che gestiamo anche oggi. Iniziammo nel Natale del 1954, fu un’avventura. Mio marito riuscì a mettere in funzione il riscaldamento proprio alla vigilia di Natale, ma avemmo una “fortuna sconcia”. Aprimmo senza nemmeno una prenotazione ma quell’ anno nevicò solo in questa zona.

“Il 26 del mese avevamo l’albergo pieno – afferma Alessandro Galbusera -. Giungevano telefonate dalla Valle d’Aosta, dall’Abetone… non c’era ancora una vera e propria stagione invernale, la gente veniva qui per i quindici giorni di Natale, ma era una bella clientela, molti professionisti. Nel 1955-56 avemmo con noi Papi, il rettore dell’Università di Roma, poi Ruini, il presidente della Costituente.”

“Carla, quale è il contributo vostro alla storia alberghiera della famiglia?”

“Io credo sia dovuto alla nostra cultura. Poi ha significato moltissimo la nostra forma mentis; noi veniamo dalla FUCI e per noi l’interesse verso l’uomo è sempre stato preponderante rispetto all’interesse per le cose. Io mi diverto moltissimo a fare l’albergatrice, è una soddisfazione immensa arrivare a contatto con tante persone e culture. Ad esempio, attraverso i miei ospiti studio le relazioni di coppia.”

“Mi ricordate qualche nome di ospite illustre nel vostro albergo?”

“Ad esempio Rasetti, definito il cardinale camerlengo della “Scuola di via Panisperna”, quella di Fermi per intenderci. Poi Taha Hussein, ministro dell’educazione egiziano ai tempi di Nasser. Quindi…

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